Di Maio contrario al Ceta. Cosa rischia il Made in Italy se non si ratifica?
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Anche il vice premier e ministro delle Sviluppo Economico Luigi di Maio, interventuto all’Assemblea di Coldiretti, si è dichiarato favorevole alla mancata ratifica del CETA - l'accordo di libero scambio - da parte dell’Italia. Confermando così la linea già espressa dal ministro del Mipaaf Centianio. "Questa maggioranza lo respingerà", ha detto il vicepremier riguardo il trattato di libero scambio tra Canada e Unione europea entrato in vigore il 21 settembre 2017 e attualmente in fase di ratifica da parte dei Paesi Ue.
Pirateria legittimata?
Per l’Italia l’opposizione è giustificata dal fatto che con il Ceta per la prima volta nella storia l’Ue legittima in un trattato internazionale – denuncia Coldiretti – la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, accordando esplicitamente il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali. Il vicepremier ha aggiunto che "se anche uno solo dei funzionari italiani che rappresentano l'Italia all'estero continuerà a difendere trattati scellerati come il Ceta, sarà rimosso". Al momento, la sola parte in sospeso del Ceta è quella sugli investimenti, che appunto chiama in causa la ratifica dei 28 Stati membri. L’accordo è entrato in vigore in tutta l’Unione Europea, ma è fortemente osteggiato tanto che al momento si sono espressi a favore solo 11 Paesi su 28 ossia Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta, Spagna, Portogallo, Croazia, Repubblica Ceca, Austria e Finlandia.
"La svendita dei marchi storici del Made in Italy agroalimentare non è solo un danno sul mercato canadese ma – dichiara il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo – si è dimostrata essere soprattutto un pericoloso precedente nei negoziati con altri Paesi, dal Giappone al Messico, dall’Australia alla Nuova Zelanda fino ai Paesi del Sudamerica (Mercorsur) che sono stati così autorizzati a chiedere lo stesso tipo di concessioni".
Secondo il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, invece, non ratificarlo sarebbe "un grave errore. All'Italia conviene il Ceta perché siamo un Paese ad alta vocazione all'export e attraverso l'export creiamo ricchezza". Dallo scorso settembre a maggio, l’export italiano in direzione del Canada è già aumentato dell’8 per cento. Anche se, su alcuni prodotti - come Parmigiano Reggiano e Grana Padano - le esportazioni sono diminuite in valore dell’10% nel primo trimestre del 2018, quello successivo all’entrata in vigore in forma provvisoria il 21 settembre 2017 dell’accordo di libero scambio con l’Unione Europea (Ceta) che avrebbe dovuto frenare le imitazioni e migliorare l’accesso al mercato.
Il no dell'Italia non abroga automaticamente l'accordo
"Il trattato CETA è stato buono per l'Italia", ha detto la commissaria al Commercio Cecilia Malmström a Bruxelles, riferendosi ai dati diffusi a fine giugno. Non è, però, del tutto chiaro quali sarebbero le conseguenze di una mancata approvazione italiana, sia a livello nazionale che a livello europeo. Poiché non vi è scadenza per le diverse ratifiche nazionali e poiché i passaggi politici e amministrativi sono numerosi, non necessariamente il voto del Parlamento italiano contro il CETA comporterebbe una automatica e immediata abrogazione dell'intero accordo, anche della parte già applicata in via provvisoria. Anche se il 1° marzo del 2017, la stessa Malmström si era pronunciata in risposta a un’interrogazione di un eurodeputato, dichiarando che in presenza di ostacoli alla ratifica sul piano nazionale, l’accordo non può entrare in vigore e l’applicazione provvisoria dovrebbe immediatamente cessare.
Secondo la Coldiretti su un totale di 294 denominazioni italiane riconosciute, ben 250 non godono di alcuna tutela nel trattato e la situazione non è molto diversa per gli altri accordi conclusi o in itinere. In forse, quindi, potrebbe non esserci solo l’accordo con il Canada, ma anche quelli su cui l’Unione Europea sta negoziando. Il prossimo 17 luglio per esempio è prevista la firma dell’Accordo Ue-Giappone - rinviata a causa delle alluvioni che hanno colpito il Paese asiatico - ritenuto di grande importanza viste le dimensioni dell’economia nipponica.