La riscoperta del rum nel mondo? Il merito (a sorpresa) è dell'Italia
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Il mercato globale degli alcolici aumenterà nei prossimi 5 anni. Almeno secondo le previsioni relative al periodo 2018-2022 dell’Iwsr, una delle maggiori società di analisi del mercato delle bevande alcoliche, che per la fine del quinquennio stimano un incremento dei consumi sia in termini di volumi sia di valore. Secondo la ricerca, infatti, il mercato registrerà una crescita a volume di 147,1 milioni di casse da nove litri al 2022, raggiungendo i 28 miliardi di casse, con aumenti in valore per 78,7 miliardi di dollari, per un giro d’affari complessivo che si attesterà oltre i 1.070 miliardi di dollari. Merito soprattutto delle categorie premium e super premium che non conoscono crisi, a dispetto dei prodotti di basso costo che, al contrario, vedranno una contrazione. Tra i prodotti che più beneficeranno di questa tendenza c'è senza dubbbio il rum, che negli anni ha visto un costante innalzamento di qualità e prezzo. Anche merito della rivalutazione partita proprio dal nostro Paese, come spiega Leonardo Pinto, riconosciuto a livello mondiale come uno dei migliori esperti di rum in Europa, trainer e consulente per le aziende, nonché direttore di ShowRUM - Italian Rum Festival, uno dei più importanti eventi al mondo e primo in Italia dedicato al Rum e alla Cachaca. La rassegna, promossa da Isla de Rum in collaborazione con SDI Group, sarà a Roma per il sesto anno presso il Centro Congressi dell’A.Roma - Lifestyle Hotel & Conference Center.
"Possiamo dire che il successo del rum è 'nuovo' – esordisce Pinto – nel senso che, a differenza di quelli storici che io chiamo 'i grandi spiriti dell'Olimpo', come Cognac, Armagnac o Scotch, fino agli anni Novanta/inizio anni Duemila, era considerato un prodotto solo da miscelazione all'interno dei cocktail. Nessuno gli ha mai dato un'identità da degustazione. E questo in quasi tutto il mondo, a parte nei paesi produttori, ovviamente, dove è sì storico ma comunque sempre considerato il distillato di una classe di serie B. Perché era prodotto e consumato ai Caraibi dagli schiavi e dai pirati. Non ha mai raggiunto le classi aristocratiche. Per questo quando è arrivato al largo consumo, c'è arrivato in un discorso di miscelazione fino alla metà del Novecento".
A lanciarne il consumo da degustazione è stata proprio l'Italia, così come era già avvenuto per lo scotch whisky negli anni Sessanta. Una moda che dalla nostra Penisola è dilagata nel mondo. "Stessa cosa è accaduta un po' alla fine degli anni novanta in Italia con i rum, che non erano più soltanto il bianco da miscelazione o il prodottino facile. Sono cominciate ad arrivare delle selezioni e delle riserve, prodotti un po' più complessi, un po' più strutturati, anche se erano ancora dei tentativi. Il nostro mercato ha però risposto molto bene. E siccome siamo un Paese piccolo, ma che fa tendenza, soprattutto nel food&beverage, abbiamo influenzato anche altri mercati". La moda italiana dei rum invecchiati e selezionati ha così allertato i vari produttori, scatenando un "circolo virtuoso" che è riuscito ad allargare il business. "Chiaramente i produttori, avendo sempre più mercato e di conseguenza un budget sempre più interessante a disposizione, hanno deciso di investirlo seriamente in tecnologia, piuttosto che in barili, piuttosto che in percorsi sempre più interessanti, prodotti sempre più complessi e importanti. Dal piccolo produttore nuovo a quello storico si sono ritrovati finalmente ad avere un mercato in cui era possibile creare qualcosa di buono".
Una rivoluzione degli ultimi 10-15 anni che ha avuto l'effetto positivo di continuare a far salire le vendite dei prodotti premium anche durante la crisi del 2008, quando tutti i settori beverage hanno subito notevoli perdite, rum compreso. "Anche il rum a livello di numeri è crollato. Ma con una differenza: calo drastico per quello da miscelazione, continuo aumento per quello da degustazione. Il consumatore sta cominciando ad apprezzare questo prodotto nuovo, sconosciuto - anche se a livello storico probabilmente è più vecchio di molti altri - però lo apprezza in degustazione, in bicchiere. Questo grazie ovviamente a dei prodotti molto più amabili, molto più - diciamo - alla portata di tutti, che sono chiaramente quelli che fanno i grandi numeri e che avvicinano il consumatore a questa tipologia di bevuta. Dall'altra parte grazie al lavoro anche di tante grandi aziende - o piccole in alcuni casi - che fanno dei prodotti che non hanno nulla da invidiare a Cognac e Whiskey. Questo grande lavoro sta finalmente alzando l'asticella della percezione del rum che, ripeto, a livello qualitativo non ha nulla da invidiare a nessuno. Ma a livello di percezione deve ancora affermarsi".
Cosa vederemo quindi tra gli 80 stand del festival? "Ci saranno produttori provenienti da tutta la fascia tropicale del mondo. Questa è una delle caratteristiche più deliziose del rum, il fatto che la produzione vada dall'isola di Giava in Indonesia fino ai Caraibi, posto storico. Il rum infatti si produce ovunque cresce la canna da zucchero, quindi tutta la fascia tropicale del mondo. Ci saranno anche delle rarità, come il Batavia Arrack, il rum dell'isola di Giava, che era uno degli ingredienti delle prime ricette del celebre Jerry Thomas alla fine dell'Ottocento in America. Vedremo i rum di Madeira, che in pochi sanno essere tutelati da DOP, cioè l'indicazione di origine protetta. Vedremo prodotti di Mauritius, fino a finire in Trentino, dove sta esplodendo il fenomeno delle microdistillerie".