Alcolici, l'export va alla grande
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Le esportazioni europee raddoppiano. Le aziende vogliono più peso nelle politiche negoziali
Pressing dei produttori: via le barriere nei paesi extra-Ue
ITALIAOGGI
L’export dei distillati e liquori europei è raddoppiato in valore negli ultimi dieci anni passando da 5 a oltre 10 miliardi di euro e contribuendo alla bilancia commerciale europea del 2013 con un saldo positivo di 8,6 miliardi. Per questo, i produttori chiedono di contare di più nelle politiche commerciali dell’Ue. Che nel negoziare gli accordi di libero scambio, dovrebbe farsi carico della “eliminazione delle barriere tariffarie”, come quella del 150% prevista sul whisky in India, per esempio. Ma anche concentrarsi su altri ostacoli alle esportazioni, come le “politiche fiscali discriminatorie e l’insufficiente protezione della proprietà intellettuale”. I produttori europei di “spirits” lo hanno fatto presente direttamente al commissario Ue al commercio Karel de Gucht in una conferenza a Bruxelles, pochi giorni prima del nuovo round di negoziati per il patto commerciale tra Usa e Ue, in programma nella capitale belga dal 14 al 18 luglio. Nonostante il dominio di whisky, cognac e gin sul mercato internazionale, anche i liquori italiani dicono la loro, con un comparto che negli ultimi dieci anni ha visto crescere l’export in valore sia nei confini europei, che enxtra-Ue fino a sfiorare i 700 milioni di euro. Tra i punti di forza del made in Italy ci sono la grappa ei liquori da cocktail che sfondano soprattutto nel mercato Usa. Poi ci sono “Russia e Giappone – spiega a ItaliaOggi il direttore di Federvini Ottavio Cagiano de Azevedo – che mostrano interesse per l’alcol bianco, ma esistono dei limiti per alcune sostanze come il metanolo che variano rispetto all’Ue e l’intervento per adeguarne il tenore fa perdere alcune caratteristiche organolettiche”. Anche nel comparto liquori, quindi, l’Italia punta alla qualità. Strada più remunerativa, ma anche più difficile. “Dobbiamo spiegare molto bene il nostro sistema produttivo a livello internazionale – conclude de Azevedo – e fare pressione perché negli accordi di libero scambio si parli anche dei monopoli sugli alcolici”.
di Angelo di Mambro