I produttori Ue e Usa di liquori e cordiali uniti contro i dazi
- undefined
Spirits EUROPE e il Distilled Spirits Council degli Stati Uniti (DISCUS) hanno unito le forze per sostenere gli incontri in atto tra le delegazioni USA e UE: il sottosegretario all’Agricoltura degli Stati Uniti Sonny Perdue è stato in visita a Bruxelles anche per un confronto sulle diverse misure che hanno portato ad applicare i dazi.
Uniti da legami transatlantici forti, entrambe le associazioni hanno messo in luce gli enormi benefici del libero scambio all’interno di una nuova brochure: per gli spiriti, l’UE e gli Stati Uniti sono mercati di destinazione di grande rilevanza, con un commercio bilaterale cresciuto del + 450% da entrambe le parti dopo l’accordo transatlantico “zero per zero" nel 1997.
Tuttavia, in seguito agli scontri commerciali non direttamente correlati al settore degli spiriti, gli Stati Uniti e l’UE hanno imposto dazi su alcuni di questi: a giugno 2018, l’UE ha messo i dazi al 25% sull’American Bourbon Whisky in risposta alle restrizioni statunitensi sulle importazioni dell’acciaio e dell’alluminio europeo.
Nell’ottobre del 2019, gli Stati Uniti hanno applicato i dazi al 25% sui whisky irlandesi e scozzesi Single-Malt dal Regno Unito, così come sui liquori e cordiali provenienti da Irlanda, Germania, Spagna, Italia e Regno Unito a seguito di una sentenza della WTO sui sussidi UE per il Consorzio Airbus.
“Il commercio transatlantico di spiriti è un esempio distintivo degli enormi vantaggi reciproci che possono essere raggiunti ogni volta che vi è il libero commercio. Sfortunatamente, a causa delle recenti tensioni UE-USA, il nostro settore rappresenta l’esempio tangibile dei rischi e dei danni economici che si stanno manifestando”, ha affermato Ulrich Adam, Direttore Generale di Spirits EUROPE.
A seguito dell’entrata in vigore dei dazi dell’UE nel 2018, le esportazioni di whisky USA verso l’UE sono diminuite del 29% tra gennaio e novembre 2019. Dopo l’imposizione dei dazi statunitensi nell’ottobre 2019, stanno iniziando ad emergere simili problematiche anche sull’altra sponda dell’oceano.
“Il nostro settore è da sempre impegnato nella liberalizzazione del commercio globale degli spiriti, che ha permesso ai nostri prodotti di competere liberamente in modo equo nei mercati globali. Ci impegniamo a collaborare con i governi dell’UE e degli Stati Uniti per aiutare a riportare il nostro settore al libero scambio”, ha aggiunto Chris Swonger, Presidente e CEO di DISCUS.
"Sollecitiamo la Commissione Europea a rimuovere i dazi, a fini di un ribilanciamento, sui whisky americani imposti in relazione ai dazi statunitensi su acciaio e alluminio e ad escludere gli spiriti statunitensi dall'elenco definitivo dei prodotti colpiti dai dazi, così da favorire una veloce risoluzione della controversia su Boeing. Sollecitiamo inoltre USTR a rimuovere contemporaneamente i dazi sui liqueurs and cordials importati dall’UE, poiché ciò sta provocando un impatto negativo importante con riflessi anche sul mercato statunitense”, hanno concluso Adam e Swonger.
“Federvini non può che sostenere l’azione congiunta dell’associazione Spirits Europe, di cui fa parte, e del Distilled Spirits Council. La Federazione è sempre stata attiva nel contribuire a sollecitare un confronto sul piano politico e istituzionale e chiede con forza al Governo che sia creata una delega speciale per agire con maggiore incisività attraverso una voce unica, chiara ed autorevole”, dichiara Micaela Pallini Presidente del Consiglio del Gruppo Spiriti di Federvini. “Il settore dei liquori e dei cordiali italiani, colpito ormai da più di tre mesi dal dazio ad valorem del 25%, sta iniziando a risentire dei primi segnali di rallentamento e la procedura del carosello, che dovrebbe attivarsi tra poco, aggiunge ulteriori preoccupazioni”.
Ad oggi, negli Stati Uniti i posti di lavoro sono diminuiti e le assunzioni interrotte a causa degli attuali dazi su alcuni spiriti e vini dell’UE. Inoltre, secondo un’analisi condotta da Distilled Spirits Council, se i dazi restassero in vigore o aumentassero, causerebbero la perdita di 78.600 posti di lavoro sul suolo statunitense.