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21 Marzo 2019

Franciacorta riscopre l'Erbamat, antico vitigno autoctono

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di Francesca Liistro | in 
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Le forme di allevamento sono la testimonianza storica dell’evoluzione del vigneto e della tecnica colturale che avviene in un territorio, e in Franciacorta per diversi anni sono coesistite diverse forme di allevamento, a seconda dell’età dell’impianto, testimonianza di un processo di rinascita viticola che per trent’anni, tra gli anni ’70 e gli anni ’90, ha portato questo territorio a cambiamenti rapidi e significativi da un punto di vista qualitativo e paesaggistico.

Dalla vendemmia 2017, a seguito della recente modifica del disciplinare del Franciacorta Docg (D.M. 14/07/2017), è stato ufficialmente introdotto il vitigno autoctono Erbamat. I principali motivi che hanno mosso questo significativo progetto sono da ascriversi a due temi principali: la volontà di recuperare una maggiore identità e diversificazione del prodotto grazie a un approfondito legame con il territorio e la necessità di mitigare gli effetti del cambiamento climatico specie su uve precoci come lo Chardonnay e i Pinot.

«L’attenzione del Consorzio Franciacorta nei confronti dei vitigni storici bresciani - spiega Silvano Brescianini, presidente del Consorzio - nasce già nel 2009, anno a partire dal quale si sono susseguite varie indagini e sperimentazioni al fine di individuare e valutare quale di questi avesse una buona attitudine alla spumantizzazione. Fin da subito, stando alle caratteristiche descritte nelle schede varietali, l’Erbamat si era dimostrato il più interessante per il suo profilo aromatico sostanzialmente neutro, il ciclo vegetativo medio-lungo e la buona tenuta del tenore acidico». I produttori franciacortini e il Consorzio stesso ritenevano che l’utilizzo di un vitigno autoctono fosse un’ineludibile necessità, un’ulteriore rafforzamento del legame vino - territorio e di conseguenza un efficace strumento per differenziare il prodotto. L'Erbamat,infatti, è uno dei tigni più antichi della zona. Il nome è la derivazione di Albamatta, uva bianca citata dall’agronomo Agostino Gallo nel suo trattato Le dieci giornate della vera agricoltura, e piaceri della villa (1564) come varietà presente sulle colline franciacortine.

«A ciò si aggiunge - prosegue - un aspetto tecnico fondamentale: l’esigenza di gestire, e non subire, gli effetti di vendemmie sempre più precoci e concentrate dovute alle caratteristiche climatiche di questo periodo storico. Negli ultimi 30 anni si è assistito a un evidente cambiamento climatico caratterizzato da un aumento delle temperature al suolo e da una maggiore disponibilità radiativa. Ne consegue un anticipo del ciclo vegetativo e una diminuzione delle disponibilità idriche del suolo, che possono ripercuotersi sul processo di maturazione delle uve e sulle loro caratteristiche organolettiche al momento della raccolta». In questo contesto l’Erbamat si inserisce come un vitigno più tardivo, con una cinetica di maturazione molto lenta (si raccoglie a fine settembre, inizio ottobre) e tenori di acidità molto alti e pertanto risulta un ottimo elemento per conferire freschezza alle basi spumante e mitigare le problematiche sopra descritte.

Con l’entrata in vigore del nuovo disciplinare a partire dal 1 Agosto 2017, l’Erbamat è stato inserito nella base ampelografica del Franciacorta e del Franciacorta Rosè in misura facoltativa di massimo il 10%. L’obbiettivo tecnico è quello di ottenere un prodotto in cui l’Erbamat dia un contributo anche in termini sensoriali e gustativi ma che allo stesso tempo consenta di preservare le caratteristiche del Franciacorta così come è apprezzato e conosciuto dal mercato nazionale e internazionale. «Si è comunque ritenuto di mantenere la facoltatività in quanto l’inserimento di un nuovo vitigno all’interno di un Disciplinare è un cambiamento molto importante e radicale che deve essere acquisito dal territorio con gradualità e che necessita di una conoscenza approfondita delle sue caratteristiche, delle risposte ai metodi ed agli ambienti di coltivazione e dei risultati enologici a breve ed a lungo termine». Le analisi sono state effettuate con l'Università degli Studi di Milano e a oggi si attendono gli sviluppi dei vitigni piantati due anni fa, per poi andare a individuare i cloni migliori. «Ovviamente – conclude Brescianini – solo il tempo ci dirà se abbiamo avuto una felice intuizione nel riportare in produzione questo vitigno. O se, al contrario, avevano avuto ragione i nostri antenati, quando avevano preferito dedicarsi ad altre qualità».

 

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