Rome Business School: sotto la lente il futuro del settore vitivinicolo italiano
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Rome Business School ha pubblicato lo studio “Il business vitivinicolo in Italia. Export, sfide future e nuove professionalità”. La ricerca, curata da Valerio Mancini, direttore del Centro di Ricerca, analizza la crescita del mercato enoico globale post-pandemia, il ruolo di primo piano che l’Italia riveste nel panorama mondiale del vino ed esamina il consumo di vino a livello nazionale.
Il 2022 presenta un quadro di grande incertezza anche per il settore vitivinicolo. Sebbene i numeri dell’export siano migliorati rispetto l’anno scorso (dal +4,8% al +5,6%) siamo davanti uno scenario complesso caratterizzato dall’aumento dei costi di materie prime ed energia, dalla difficoltà di approvvigionamento di moltissimi materiali a causa soprattutto del conflitto tra Russia e Ucraina.
Nonostante le problematicità, la produzione di vino in Italia rimane forte. Nel primo semestre del 2022 (al 31 maggio 2022) secondo dati Mipaaf negli stabilimenti enologici italiani erano presenti 50,7 milioni di ettolitri di vino e 5,3 milioni di ettolitri di mosti. Rispetto allo stesso periodo del 2021, si osserva un valore delle giacenze superiore per tutti i vini (+3,1%) e i mosti (+19,8%). Questi numeri confermano le previsioni dell’anno scorso che vedevano l’Italia superare i 50 milioni di ettolitri, posizionandosi come l’unico tra i tre principali produttori europei per cui si prospettava una variazione positiva rispetto il 2021 (+2%), davanti la Francia (45,6 milioni di ettolitri) e la Spagna (37,8 milioni di ettolitri).
Produzione regionale: i numeri della produzione e il valore commerciale
La produzione del vino in Italia riguarda per il 50,5% vini Dop e per il 28% Igp. Il 55% del vino è detenuto nelle regioni del Nord, in maggior misura in Veneto (Fedevini, 2022). Solo in questa regione è presente il 23% del vino nazionale, soprattutto grazie al significativo contributo delle giacenze delle province di Treviso (9,1%) e Verona (8,6%) secondo dati del Mipaaf 2022.
Anche in termini di valore commerciale è sempre il Veneto ad occupare la prima posizione in esportazioni, superando il 35% dell’ammontare complessivo e doppiando il Piemonte che, con una quota del 17,2%, distanzia di poco la Toscana (15,9% del totale vendite oltreconfine), dati ISTAT 2021. Il primato del Veneto in termini di volume di vino prodotto è confermato anche in termini di valore: in entrambi i casi l’incidenza supera di poco il 20% del totale nazionale. Segue la Puglia, la cui produzione in volume (pari al 18,6% del totale) si traduce in un minor valore (12,5%).
Rimanendo nel Nord Est, è qui dove secondo Area Studi Mediobanca (2022) si concentrano le maggiori imprese operanti nel settore vinicolo: il 40% delle 251 società italiane di capitali (aziende hanno fatturato più di 20 milioni di euro), di cui la metà proprio in Veneto, regione con il maggior numero di imprese (23% del totale). Nel Centro e nel Nord Ovest sono la Toscana (15% delle società totali) e il Piemonte (12%) a segnare la maggiore concentrazione; nel Sud e Isole, la Sicilia e la Puglia insieme coprono il 10% del panel complessivo. I produttori di spumanti invece si localizzano in 6 regioni, con il Veneto in primo piano (56% del totale); la Lombardia è l’unica regione in cui le imprese produttrici di spumanti prevalgono (54% del totale).
Il made in Italy: l’importanza dell’export e l’impatto del Covid-19
Come ogni eccellenza del made in Italy, il vino italiano è trainato con forza dall’export: circa il 40% della produzione italiana di vino è destinata al mercato estero e il saldo commerciale attivo del settore vinicolo negli ultimi anni è cresciuto ad un tasso medio annuo del 5,2% (Area Studi Mediobanca, 2022).
Nel 2022 vediamo ancora il successo delle bollicine: si aspetta di chiudere l’anno con un +5,7% di ricavi complessivi e +7,5% per l’export rispetto al 2021, mentre, per i vini fermi ci si aspetta un +4,6% (+5,3% l’export). Prevalgono i mercati di prossimità (paesi Ue) con il 41,2%, mentre la seconda area di destinazione è il Nord America (34,1%); tuttavia una crescita importante si registra anche in America centro-meridionale (+22,8%).
Dopo un 2020 caratterizzato da una caduta importante delle vendite di vino, nel 2021 c’è stato un balzo evidente per il settore: il 95,8% delle imprese intervistate sempre da Area Studi Mediobanca ha dichiarato un aumento del fatturato con una variazione che supera il +10% nel 56,9% dei casi. Nel 2021, le vendite complessive sono aumentate del 14,2% sul 2020: la ripresa post-covid ha quindi riguardato in misura analoga il mercato interno (+14,8%) e quello estero (+13,6%). Infatti, il 93,3% delle aziende ha incrementato il proprio export rispetto all’anno precedente e nel 57,6% dei casi gli aumenti sono stati in doppia cifra.
L’Italia ha dunque retto bene l’impatto della pandemia in termini di esportazioni di vino, poiché c’è stato sì un calo, ma molto contenuto e di certo non drammatico come quello visto in Francia (-2,2% contro -11%).
Le tendenze del consumatore italiano e il boom dell’online
Diversi i fenomeni registrati a causa della pandemia da Covid-19. Tra i più rilevanti: il cambiamento nei consumi del vino: il vino fermo cresce al pari dei vini spumanti e il rosso tanto quanto il bianco, privilegiando le categorie di alta qualità (+8) rispetto ai prodotti di basso livello (+3%). Calano inoltre i consumi interni, di pari passo al deciso aumento della domanda statunitense, ciò ha fatto scivolare l’Italia al terzo posto tra i Paesi consumatori. Da sottolineare che, nonostante si beva meno (-26% di volumi ridotti rispetto a vent’anni fa), i consumatori lo fanno in modo più responsabile, con una media di 2-4 bicchieri a settimana.
I vini più venduti lo scorso anno sono il Lugana (+49%), il Brunello di Montalcino (+47%) e il Barolo piemontese (+43%), dati della Coldiretti (2021). Rimangono i più bevuti il Lambrusco, il Chianti e il Montepulciano d’Abruzzo. Sono inoltre aumentate del 74,9% le vendite sui portali web di proprietà delle cantine e delle società del mondo enologico, del 435% le vendite su piattaforme online specializzate e del 747% nei marketplace generalisti.
Nuovi sbocchi lavorativi e nuove professionalità
L’Italia occupa il primo posto nella classifica mondiale dei produttori, rispetto a cui detiene la quota del 18% del totale complessivo. Nonostante la crisi, il settore vitivinicolo continua quindi a crescere e ad offrire opportunità lavorative. Non solo, nel nostro Paese, negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un vero e proprio “ritorno alla vigna” da parte di giovani produttori under25, con un aumento record del 38% nel 2018 e si stima che i produttori di vino sotto ai 25 anni siano saliti a quota 1200 nel giro di un solo anno. Attualmente, in Italia sono circa 100 mila le aziende guidate da giovani under 35 e 25% di queste è gestito da donne. Secondo Coldiretti (2021), le aziende vitivinicole italiane danno lavoro al proprio interno a circa 210 mila addetti, fra i quali 50 mila sono giovani. In Italia oggi il mondo del vino genera lavoro per circa 1,8 milioni di persone con opportunità professionali distribuite in ben 18 settori.
Uno sguardo al futuro: sostenibilità, tecnologia e marketing
Pandemia e nuovi trend di consumo obbligano il settore a necessari cambiamenti. Sempre più, infatti, il settore vitivinicolo dovrà guardare alla sostenibilità, quindi ridurre per esempio il peso del vetro nell’imbottigliamento; affidarsi alla tecnologia, attraverso la digitalizzazione, l’automazione e l’intelligenza artificiale; saper rispondere alle richieste dei clienti più attenti alla filiera, che cercheranno in misura maggiore vini regionali e cantine meno conosciute, e vini biologici.
Si attende per gli ultimi mesi del 2022 un ulteriore aumento delle vendite complessive: 91,7% dei principali produttori di vino prevede un incremento dei ricavi, a due cifre nel 23,3% dei casi; la quota cala all’87% se si guarda all’export, secondo Area Studi Mediobanca. Tuttavia, a frenare la corsa del vino italiano è e sarà soprattutto la crescita dei costi: un +35% in media, a causa delle tensioni su energia e materie prime generate dalla guerra in Ucraina con aumenti unilaterali da parte dei fornitori di imballaggi. Nei vigneti si registrano infatti rincari che vanno dal +170% dei concimi al +129% per il gasolio. Una bottiglia di vetro costa fino al 50% in più rispetto allo scorso anno, mentre il prezzo dei tappi ha superato il 20% per quelli di sughero e addirittura il 40% per quelli di altri materiali.
Una situazione di fragilità, questa, che “mette a rischio un sistema che a partire dalla vendemmia attiva un business che offre opportunità di lavoro a 1,3 milioni di persone impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale e di servizio. Risulta necessario, dunque, per il futuro del settore, concentrarsi sull’investimento in risorse ecosostenibili al fine di proteggere il patrimonio unico di biodiversità della produzione vitivinicola italiana”, afferma Valerio Mancini.
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