Sughero o vite? L'eterna sfida dei tappi, tra tradizione e innovazione
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Sono circa 19 miliardi le bottiglie in vetro da 0,75 cl prodotte nel mondo ogni anno. 19 miliardi che richiedono di essere tappate. Ma quale il migliore sistema? Attualmente circa 12 miliardi (in aumento annuo di circa 1,5-2% anno su anno) sono rappresentati dai tappi in sughero, circa 5 miliardi da tappi a vite (con una tendenza di aumento intorno al 3% all’anno) e circa 2 miliardi di pezzi, in calo, all’anno sono di tappi sintetici. Mentre le nuove tipologie, come quelle in vetro, hanno ancora numeri trascurabili.
“La sfida oggi è tra sughero e alluminio – dichiara Carlos Veloso Dos Santos, amministratore delegato di Amorim Cork Italia –. Quest’ultimo avanza soprattutto nei nuovi mercati, quelli che hanno una minore tradizione del vino, che sono poi quelli dove anche il consumo di vino è in forte crescita. Fatta eccezione per la Cina, che al contrario ama il sughero. Sebbene il tappo a vite cresca quasi il doppio, il sughero resiste per una molteplicità di fattori, tra cui anche la sostenibilità”.
Perché, nonostante la comodità di versarsi un bicchiere di vino, riavvitare il tappo e conservare il resto per un altro giorno, i consumatori preferiscono ancora i vini con chiusure di sughero? Un recente studio, pubblicato sull'International Journal of Hospitality Management, ha esplorato l'associazione tra il tipo di chiusura delle bottiglie di vino e le percezioni dei consumatori sulle caratteristiche intrinseche del vino. I partecipanti, inconsapevoli di aver assaggiato gli stessi vini solo tappati diversamente, hanno valutato il vino chiuso con sughero naturale con 10-13 punti in più per aspetto, gusto, aroma e qualità generale.
"I risultati dello studio sono in linea con ciò che vediamo da molti anni: questo prodotto naturale, sostenibile e riciclabile non è solo superiore in termini di aspetti ambientali e della sua capacità di preservare il vino e di contribuire al suo sviluppo, ma superiore anche in termini di percezione del consumatore”, commenta João Rui Ferreira, presidente dell'Associazione portoghese del sughero (APCOR).
Qual è il tallone di Achille del sughero? “Purtroppo è, da sempre, il sentore di tappo – risponde Dos Santos –, cioè il tricloroanisolo. Una molecola che si trova in natura, molto subdola e molto potente, in grado di rovinare completamente il gusto di un vino”.
Gruppo Amorim è leader nella produzione di tappi in sughero, coprendo da solo il 40% del mercato mondiale di questo comparto, e il 26% del mercato globale di chiusure per vino. “Oggi la sfida dell'industria del sughero – prosegue Dos Santos – è proprio togliere l’odore di tappo, non solo dai tappi tecnici in microgranulato, ma anche da quelli interi, ovvero quelli più pregiati, fatti con un solo pezzo di sughero. Noi abbiamo iniziato nel 2008 una strada che ha visto la luce nel 2016, con la costruzione di un sistema in grado di rintracciare una quantità infinitesimale di TCA pari allo 0,5 nanogrammi al litro. Per dare un’idea, in ordine di grandezza, è pari a una goccia di acqua su ottocento piscine olimpioniche. E di estrarla. Quest’anno produrremo circa 60 milioni di tappi con questa tecnologia, ma il nostro obiettivo è di creare un sistema di estrazione su tutta la produzione entro il 2020. E siamo già sulla buona strada. Quello che ci si potrà aspettare per il futuro saranno tappi di sughero completamente garantiti, sia quelli tecnici, sia quelli di matrice totalmente naturali. I tappi a vite sicuramente continueranno a essere richiesti, ma dai mercati un po' più giovani, meno abituati a questo rituale della stappatura. Il tappo di plastica, infine, a nostro avviso, tenderà sempre più a scemare, perché oggi il mondo vede la plastica come una forte minaccia all’ambiente”.
Ma anche sui tappi a vite la tecnologia sta facendo passi da gigante. Già nel 2016 Guala Closures Group aveva messo a punto dei tappi “intelligenti” al grafene. Applicando il grafene sul tappo, i ricercatori hanno legato un chip capace di comunicare e trasformare una semplice chiusura in un’antenna per la trasmissione dei dati. A renderlo possibile è la tecnologia Near Field Communication (Nfc) che favorisce la connettività wireless bidirezionale a corto raggio. Avvicinando il proprio smartphone ai tappi trasmittenti si crea una rete paritaria tra i due (rete peer to peer) e i clienti possono ricevere informazioni sulla bottiglia in termini di anticontraffazione e di controllo della filiera. Una soluzione già adottata da alcune case di spirits per le bottiglie più pregiate dei loro assortimenti, soprattutto per arginare il pericolo della contraffazione in molti mercati.
Per il vino, comunque, se in Europa il tappo a vite è ancora considerato per lo più una chiusura economica, nel Nuovo Mondo c’è un movimento sempre più vasto, partito dalla Nuova Zelanda, a sostegno della sue bontà e praticità. Si tratta di prodotti di ultima generazione e con un alto contenuto di tecnologia, il cui capostipite e leader di mercato, è lo Stelvin, prodotto in Francia da Pechiney. La capsula è in alluminio e la guarnizione di tenuta è costituita da un materiale “poliaccoppiato”, che prevede uno strato esterno di polietilene espanso, uno intermedio in lamina di stagno e uno interno (a contatto con il vino) di una speciale resina sintetica (PVDC, policloruro di vinilidene). In un recente seminario presso Enocontrol ad Alba il tecnico australiano Richard Gibson ha sostenuto che il tappo a vite sia l’unica chiusura consigliata per conservare la freschezza dei vini bianchi vinificati “in riduzione”, quindi minimizzando gli apporti di ossigeno. La stessa casa produttrice dello Stelvin dichiara, dal suo sito internet, che si tratta della chiusura ottimale per i vini giovani e fruttati. E già molti Paesi, soprattutto anglosassoni, stanno richiedendo anche ad aziende italiane questo tipo di chiusura. Resta però ancora un punto interrogativo sui vini da invecchiamento. Ci si potrà fidare?