Confindustria: caduta del Pil al 6% - Ecco i possibili effetti del piano straordinario Ue
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Economia italiana colpita al cuore. Uno shock imprevedibile ha colpito l’economia italiana a febbraio 2020, quando è iniziata la diffusione nel Paese del virus COVID-19. Si tratta di uno shock congiunto di offerta e di domanda: al progressivo blocco, temporaneo ma prolungato, di molte attività economiche sul territorio nazionale, necessario per arginare l’epidemia, si è associato un crollo della domanda di beni e servizi, sia dall’interno che dall’estero. Il Centro Studi Confindustria pubblica il Rapporto di previsione sull'economia italiana. Il documento presenta le previsioni per l'economia italiana nel 2020 e 2021 e include un'analisi dell'evoluzione dei fattori geo-economici più rilevanti per il nostro Paese.
Le prospettive economiche, in questa fase di emergenza sanitaria, sono perciò gravemente compromesse. Non è chiaro, inoltre, con quali tempi esse potranno essere ristabilite neppure dal lato dell’offerta. Nelle previsioni che qui presentiamo, ipotizziamo che nel settore manifatturiero saranno attive queste percentuali di imprese nei prossimi mesi, nell’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria si vada esaurendo alla metà del secondo trimestre dell’anno. Aprile: 40% all’inizio; 60% alla fine del mese; maggio: 70% all’inizio; 90% alla fine del mese; giugno: 90% all’inizio; 100% alla fine del mese. Anche con queste ipotesi, la caduta stimata del PIL nel secondo trimestre rispetto a fine 2019 è attorno al 10% (Grafico A). Inoltre, la ripartenza nel secondo semestre sarà comunque frenata dalla debolezza della domanda di beni e di servizi.
L’azione di politica economica, immediata ed efficace, deve essere diretta in questa prima fase a preservare il tessuto produttivo del Paese, impedendo che la recessione profonda di questi mesi distrugga parte del potenziale e si traduca in una depressione prolungata, con un aumento drammatico della disoccupazione ed un crollo del benessere sociale. Non appena possibile, occorrerà poi mobilitare risorse rilevanti per un piano di ripresa economica e sociale. In entrambe le fasi, un’azione comune o almeno coordinata a livello europeo sarebbe ottimale; in assenza di questa possibilità, la risposta della politica economica nazionale dovrà essere comunque tempestiva ed efficace. Siamo in una recessione atipica, che non nasce dall’interno del sistema economico italiano, né in quello internazionale. Non nasce dall’incepparsi di qualche meccanismo dei mercati finanziari o dalla necessità di “correggere” qualche eccesso. Lo shock viene dall’esterno, colpisce l’economia come un meteorite.
I consumi delle famiglie, nella prima metà del 2020, risentiranno delle conseguenze dell’impossibilità di realizzare acquisti fuori casa, ad esclusione di alimentari e prodotti farmaceutici. Il totale della spesa privata risulterà decisamente inferiore rispetto a quello dell’anno scorso (-6,8%). Al suo interno si determinerà una sostanziale ricomposizione del paniere, a sfavore di vari capitoli di spesa, quali l’abbigliamento, i trasporti, i servizi ricreativi e di cultura, i servizi ricettivi e di ristorazione.
Gli investimenti delle imprese sono la componente del PIL più colpita nel 2020 (-10,6%). Calo della domanda, aumento dell’incertezza, riduzione del credito, chiusure forzate dell’attività: in questo contesto è proibitivo per un’azienda realizzare nuovi progetti produttivi, visto che la stessa prosecuzione dell’attività corrente è compromessa o a forte rischio, come mostra la caduta della produzione industriale. Gli investimenti privati, perciò, crolleranno nella prima metà di quest’anno.
L’export dell’Italia non viene risparmiato dal calo generale dell’attività economica (-5,1% nel 2020). L’attesa di una riduzione delle vendite estere è dovuta a quella prevista negli scambi mondiali e, soprattutto, nelle filiere di produzione nei paesi europei, a causa della pandemia che ha colpito tutto il mondo, o quasi. Poiché il calo dell’attività sarà particolarmente forte nei principali mercati di destinazione dei prodotti italiani e i nostri esportatori saranno più penalizzati da difficoltà produttive e logistiche, l’export è atteso cadere più della media mondiale. Peraltro, i rischi sono qui fortemente al ribasso, perché un blocco dell’attività più lungo e diffuso a livello internazionale potrebbe portare a un crollo del commercio mondiale comparabile a quello del 2009. Inoltre, concorrenti esteri potrebbero approfittare delle attuali difficoltà della manifattura italiana per sottrarre quote di mercato.
Confindustria ha definito una serie di proposte concrete, per garantire la tenuta del sistema economico italiano. Solo se si mantiene in efficienza la macchina dell’economia, per quanto al momento quasi ferma, sarà possibile rimetterla in moto subito, al termine dell’emergenza sanitaria. Queste azioni devono comprendere: un piano anti-ciclico straordinario, finanziato con risorse europee; interventi urgenti per il sostegno finanziario di tutte le imprese, piccole, medie e grandi; strumenti di moratoria e sospensione delle scadenze fiscali e finanziarie; un’operazione immediata di semplificazione amministrativa, per rendere subito effettiva l’azione di politica economica.
Passando dal tema della tenuta a quello del rilancio, anche quest’ultimo da progettare da subito per rendere attiva la ripartenza appena possibile ed anche nell’anno in corso, il CSC ha realizzato due simulazioni con il modello econometrico. Le stime che emergono da queste analisi mostrano come, finanziando con risorse europee e nazionali gli ingenti interventi necessari per liquidità delle imprese, trasferimenti alle famiglie, investimenti pubblici e privati aggiuntivi in sanità, tecnologia, ambiente, è possibile far ripartire il Paese lungo un sentiero sostenibile di medio termine.
Confindustria insieme con le Confindustrie tedesca e francese ha proposto un piano europeo straordinario di entità pari a 3000 miliardi di euro di investimenti pubblici. Considerando una prima tranche di entità pari a 500 miliardi su un periodo di 3 anni, fatta inizialmente anche di misure per la liquidità e, poi, soprattutto di investimenti in sanità, infrastrutture e digitalizzazione, questo sarebbe in grado di alzare la crescita in Italia e nell’Eurozona di rispettivamente 2,5 e 1,9 punti percentuali nell’orizzonte di stima.
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